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Sono certo, gentili Amici, che qualcuno di voi ricorda Cassandra, la profetessa di sventura della Grecia classica. Quella che prediceva disgrazie e che, per questo, non era particolarmente amata dai suoi compatrioti. Ebbene i drammatici fatti di questi giorni, accaduti nel primo anniversario della tempesta Vaja, che ha ripulito le montagne venete di alcuni milioni di alberi, mi hanno fatto pensare a proprio a lei, alla leggendaria e poco fortunata Cassandra.
Mi hanno fatto pensare, per associazione di idee, a quanti, nel passato recente – appena un paio di decenni addietro – sostenevano che il MOSE (acronimo di MOmento SEnsazionale: quello in cui entrerà in funzione) è un’opera inutile, costosa e persino dannosa.

Ebbene c’ero anch’io tra quelli: Cassandra minore e di terza fila, ma pur sempre parte del manipolo di Cassandre che tentava di ragionare e di far ragionare i cittadini, gli amministratori e persino i tecnici, i grandi ingegneri.
Si tentava di farli ragionare con dati semplici e facilmente comprensibili, riguardanti l’impatto ambientale, i costi, le soluzioni alternative a bassissimo costo, i mutamenti climatici e ambientali planetari in atto. Insomma cose alla portata dei bambini di scuola materna.

Purtroppo, però, non c’è stato nulla da fare, perché “dio” – che da noi, società con solide radici cristiane, ricca, democratica ed evoluta ha un solo nome: denaro! – ha vinto ancora una volta. E con lui ha vinto lo spirito dei Faraoni d’Egitto, lo stesso che animava i fautori del Ponte sullo Stretto e di mille altre opere destinate a “lasciare un segno nella storia, nell’ambiente e nell’economia”;

ovviamente negativo.

Ecco, dopo vent’anni, siamo qui a stracciarci le vesti, a incolpare questo e quello (patetica l’affermazione del governatore Zaja che quella è “un’opera dello stato”, come se il suo partito l’avesse mai osteggiata e se i suoi compagni di giunta regionale Galan e Chisso non l’avessero generosamente avvallata e adottata a fini di lucro).

E allora, tutti al capezzale di Venezia – ma più corretto sarebbe dire al “capezzolo” di Venezia, perché di latte da mungere ce n’è ancora – a piangere, a disperarsi, a pompare acqua e a sollecitare la conclusione dell’opera più sbagliata, impattante, costosa e inutile dell’Italia repubblicana dopo la zona industriale a gestione camorristica di Gioia Tauro. Tutti, indistintamente, senza un minimo di pudore e di pulsione critica e, oltretutto, disinformando! Perché il MOSE doveva fermare le acque alte fino a 140 cm sul medio mare e dunque, nel caso di cui parliamo, non sarebbe neppure entrato in azione.

Così comunque vanno le cose e ora si vuole correre perché sia operativo entro il 2021 (!!!), quando la temperatura degli oceani sarà salita di almeno tre gradi rispetto a quella storica e l’opera sarà superata del tutto dal previsto, lento e inarrestabile incremento del livello dei mari.

Solo questo desideravo dirvi, gentili Amici, per sollecitarvi un breve, ma razionale, momento di riflessione critica. E per concludere vi propongo il disegno di cui ho parlato recentemente. Ritrae una Piazza Indipendenza fantascientifica, perché allagata dal mare; e risale niente meno che al “lontano” – si fa per dire – 1985. (Foto: Dalla mostra “Nell’anno dell’ambiente”, ANS, 1985.)